mercoledì 8 agosto 2018

Numeretti

Le mie conoscenze in matematica sono a un livello che definire basale é un eufemismo.
Non ricordo più neppure come ricavare una funzione e fatico a rappresentare i più banali concetti statistici.
Ciononostante i numeri mi hanno sempre affascinato perché in essi mi par di vedere un percorso che, dal semplice far di conto, giunge fino a rappresentazioni formali della fisica fondamentale. E si spinge oltre, fino a dei "di per sé" apparentemente slegati da qualunque realtà fisica: come scavare un buco sempre più profondo, seguendo precise procedure, senza sapere se mai servirà a qualcosa.
Forse questa fascinazione é dovuta all’attrazione che l’ignoranza riserva, a volte, verso ciò che si conosce solo di striscio.

Numeri naturali 
I numeri naturali sono 0 1 2 3 etc... anzi questa é solo la loro rappresentazione grafica in uno specifico sistema di numerazione, quello decimale. É un sistema che ha i suoi vantaggi: con 10 simboli (compreso lo 0) siamo in grado di rappresentare anche numeri molto grandi e fare calcoli con una discreta efficienza. 
Non é l'unico, ne esistono altri, con o senza lo zero, ma é comunque uno dei più utilizzati perché noi abbiamo 10 dita e il primo sistema di conteggio sono proprio loro.
I processori, che non hanno dita ma transistors che fanno passare(1) o no(0) una corrente, utilizzano una rappresentazione binaria che, per loro, é la migliore; i Maya invece utilizzavano un sistema a base 20 (con lo zero) e alcuni popoli messicani un sistema a base 8 perché usavano, per contare, gli spazi tra le dita piuttosto che le dita stesse.
Lo 0 consente un sistema posizionale, ossia ogni numero indica unità, decine, centinaia etc a seconda della posizione che assume. Non é l'unico modo ma é il più efficace, altrimenti tocca fare come gli Antichi Romani e usare un simbolo che identifichi il 10, il 100, il 1000 e così via; loro usavano anche un grafo specifico per il 5 e i suoi multipli oltre un plus posizionale per distinguere la 4ª cifra e non allungare ulteriormente la rappresentazione grafica già impegnativa.

mercoledì 25 luglio 2018

Il Senso della Vita

Partiamo con una semplice domanda: cos'è la vita?
Intendo in senso biologico... non fatevi fregare dal titolo!
Okkey, allora dovrebbe essere più semplice dare una risposta se non consideriamo necessità filosofiche o finalità esistenziali. Invece rimane comunque difficile metterci d'accodo su una definizione condivisa, condivisa da tutti.
"Ma come?" direbbe qualcuno "Checcevole!? Mica c'è da esse Einstein! Se respira, se magna, se tromba. Tutto qua!".
Come indica costui, l'individuazione di tali funzioni appare appropriata per un bel pezzo dell'albero della vita: molte creature respirano, mangiano e si riproducono e se allentiamo tali concetti vediamo che restano validi anche per chi non ha un'apparato respiratorio, non ha neppure quello digerente e tanto meno organi copulatori veri e propri: i protozoi e i batteri.
Questi organismi unicellulari non dispongono, ovviamente, di polmoni, bocca e pene ma, in soldoni, fanno anch'essi le medesime cose dei metazoi (che siamo noi e tutti quelli costituiti da più cellule che formano tessuti diversi): traggono dall'ambiente l'energia, gli elementi costitutivi delle loro strutture e si moltiplicano.
* Inciso tecnico
Sull'atto del nutrirsi risulta, probabilmente, facile comprendere che, anche senza una vera e propria bocca, esistono altri modi per fare passare i nutrimenti esterni all'interno; per esempio assorbendoli attraverso una membrana o, come fanno le amebe, avvolgendoli fino a internalizzarli. Invece fatichiamo a individuare nella respirazione qualcosa di diverso dall'atto di inspirare e espirare l'aria nei polmoni. In realtà quello é solo il primo passo del percorso che porta l'ossigeno dagli alveoli polmonari ai globuli rossi del sangue poi da questi ai tessuti in cui si svolge la respirazione cellulare che ci permette di sfruttare il nostro gas preferito per ricavare la massima energia dai substrati, producendo come scarto l’anidride carbonica (aka biossido di carbonio aka CO2 ) che segue il percorso inverso. Il resto è solo trasporto e le modalità dello stesso cambiano: gli insetti respirano ma non hanno né polmoni né globuli rossi, idem le piante. 




domenica 17 giugno 2018

AL DI LA' DEL TEMPO E DELLO SPAZIO

L’uomo e’ un animale irrequieto.
Non ci accontentiamo proprio di vivere il nostro tempo, ci sentiamo intrappolati in una esistenza troppo lineare che porta dalla culla alla tomba, e finiamo per domandarci costantemente che futuro ci aspetta o come sarebbe andata se avessimo compiuto scelte differenti.
Lontani anni luce dalle pragmatiche filosofie orientali che concepiscono il presente come l'unica realta’ possibile, siamo curiosi di saper cosa c’e’, ci sara’ o c’e’ stato, dietro al famigerato "Angolo". E’ la nostra natura ribelle, che cerca di liberarsi dalla schiavitu’ di schemi e ritmi troppo rigidi. Immaginiamo percio’ che il suddetto "Angolo" sia grande abbastanza per nascondere l’intera nostra esistenza passata e futura, od infiniti mondi alternativi al nostro e che si riesca, un giorno, a darci una sbirciatina.
E la scienza, figlia nobile della nostra atavica curiosita’, cercando affannosamente di spiegare tutto, ci illude che questo “tutto” sia davvero gia’ a portata di mano.
Le teorie filosofiche di Giordano Bruno, i buchi neri, la relativita’, la quarta dimensione, la teoria delle stringhe : a piccoli passi ci avviciniamo alla meta.
Per nostra fortuna la fantasia corre molto piu’ veloce della realta’.
E si muove su due dimensioni : il tempo e lo spazio.

 Il tempo 

Scienza e fantascienza sono riusciti a definire almeno quattro modi per viaggiare nel tempo:

 L’animazione sospesa 

Gia’ nell’ottocento alcuni scrittori avevano intuito quale fosse il modo piu’ sicuro e semplice di viaggiare nel tempo : addormentarsi per poi risvegliarsi anni dopo nel proprio futuro.
Minima fatica, massimo risultato.
Ti perdi “solo” un pezzetto di vita, ma potrebbe essere un danno accettabile per sfamare la nostra insaziabile curiosita’.
E’ quello che accade a Rip van Winkle nel racconto di Washington Irwing del 1819, che si addormenta per vent’anni sotto un albero, risvegliandosi poi alla fine della guerra (nella fattispecie quella d’indipendenza americana) che nel frattempo lo ha privato di moglie ed amici.
Anche il protagonista de “Il risveglio del dormiente” (1899) di H.G.Wells, dopo un sonno lungo ben 203 anni, viene riconsegnato ad un mondo irriconoscibile ed ostile.
Di sospensione vitale (in questo caso tramite erbe dalle misteriose proprieta’) e conseguente viaggio nel futuro si parla anche nel romanzo di Emilio Salgari : “Le meraviglie del duemila” del 1907.
Questi primi esempi di romanzi fantascientifici, oltre al puro intrattenimento, avevano l’obiettivo di fungere da monito per una societa’ che gli autori vedevano cambiare troppo rapidamente.
Il sonno criogenico e’ ancora l’unico sistema concreto e praticabile che abbiamo ipotizzato per riuscire a sfidare le leggi della natura e del tempo.
Sara’ utile in futuro per affrontare i lunghi viaggi interstellari, come e’ gia utile ora per rendere credibili i films di fantascienza.
Come ogni sistema, ha pero’ ha i suoi rischi.
In “Pandorum” (2009) di Christian Alvart, ad esempio, il precoce risveglio di parte dell’equipaggio di una astronave interstellare crea un caotico miniuniverso dove passato e presente finiscono per coesistere con effetti devastanti.
In “Iceman Cometh” (nelle due versioni del 1989 e del 2014) un guerriero samurai ed il suo acerrimo rivale precipitano in un ghiacciaio e si risvegliano duecento anni dopo per continuare la loro sfida.
In “Demolition man” (1993) e’ il turno di Silvester Stallone e Wesley Snipe, rispettivamente nei ruoli di poliziotto e criminale, di riproporre gli stessi schemi narrativi.
Questo sistema pero’ puo' essere utilizzato per viaggiare in una unica direzione : il futuro.
In “Stati di alterazione” di Ken Russel (1980) invece, il protagonista (William Hurt),  richiuso per un esperimento in una capsula di deprivazione sensoriale, subisce una regressione fisica e psichica che lo trasforma in un uomo primitivo : e’ un anomalo viaggio temporale, dove il tempo si modifica solo per lui.

domenica 25 marzo 2018

LA BELLEZZA DEL MOSTRO (seconda parte)

Interviste con i vampiri

Un pipistrello svolazza inquieto all’interno di un maniero.
Improvvisamente si trasforma in un uomo riccamente agghindato che evoca una fanciulla in candide vesti.
Essa comincia ad aggirarsi come sonnambula, quindi sparisce.
L’uomo misterioso terrorizza due malcapitati visitatori con apparizioni di scheletri e vecchie megere, e alla fine arretra sconfitto e spaventato davanti ad una enorme croce.
L’anno e’ il 1897, ed il cortometraggio di soli tre minuti si chiama “Le manoir du diable”, ed e’ considerato il primo film horror della storia.
Anche se il regista, quel George Melies che fu vero pioniere della cinematografia mondiale ed autore del ben piu’ famoso “Viaggio nella luna” (1902), calca la mano sull’effetto grottesco come nella piu’ classica slapstik comedy, gli elementi ci sono già tutti : il pipistrello, il castello, la dama soggiogata, la croce come arma finale.
Il nostro succhiasangue preferito, aveva emesso il suo primo vagito.

L’essere che si nutre delle vite degli altri e sulle quali ha totale ed incontrastato potere ha fatto la sua apparizione nei secoli sotto le piu’ varie sembianze : una decadente aristocratica come la contessa ungherese Erzsebet Bathory (1560-1614) che faceva toeletta nel sangue delle sue malcapitate cortigiane, o un crudele condottiero come Vlad Tepes (1431-1476), cavaliere dell’ordine del Drago (da cui il nominativo Dracul e tutto cio’ che ne e’ conseguito) ed alfiere della cristianità’ nell’Europa occidentale di cui proteggeva i confini con vere e proprie muraglie di nemici impalati.
In questi oscuri periodi storici, dove il potere si credeva al di sopra di ogni giudizio umano e divino, spesso il mostro si nascondeva, pronto a liberare la propria selvaggia natura sicuro di godere di  impunibilita’.
 Per fortuna non era sempre cosi’ : la contessa vampira ad esempio, venne scoperta e murata viva per i suoi crimini.
Oggi, iconica presenza dalle molteplici chiavi di lettura, infesta cinema e letteratura con la sua decadente bellezza.

Nel periodo d'oro del cinema horror le case produttrici inglesi ed americane pareva si fossero salomonicamente spartiti i vari archetipi : gli inglesi, specializzandosi in films sui vampiri, gli americani sfruttando il mostro di Frankenstein e l'Uomo Lupo.
Con una illustre eccezione.
Nel 1931 Tod Browning  porta sullo schermo l'adattamento teatrale del romanzo di Stoker e, dopo la rinuncia di Lon Chaney (attore carismatico famoso per la sua versatilita' e protagonista assoluto dell'epoca del cinema muto), affida il ruolo del diabolico Conte a chi gia lo stava interpretando a teatro : il quarantenne attore di origini ungheresi Bela Lugosi, spalancandogli cosi' le porte del successo planetario.
Nonostante i numerosi films interpretati, fino al suo triste declino con l'apparizione in "Plan 9 from outer space"(1958) di Ed Wood, definito il “piu' brutto film della storia”, verra' in seguito ricordato soprattutto per questo suo primo ruolo, tanto che la famiglia volle che venisse seppellito con il suo fedele mantello rosso e nero.
La sua rappresentazione di Dracula e’ ben diversa dal mostro deforme del film di Murnau : spariti i canini appuntiti (che in Nosferatu lo facevano apparire come un ripugnante roditore) il suo fascino ipnotico era affidato solamente ai carismatici occhi, messi in evidenzia da una sapiente illuminazione.
Essi torneranno nella versione di Dracula piu' rappresentata, quella di  Cristopher Lee, con la bocca grondante sangue e lo sguardo folle ed affamato.
Il vampiro e’ forse il mostro che negli anni ha avuto le piu' varie trasformazioni, modificando stile e spirito a seconda del periodo storico a cui apparteneva.
Cosi’ l'essere contorto del film di Murnau e lo sguardo ipnotico di Bela Lugosi sono figli delle interpretazioni enfatiche e teatrali classiche del cinema muto e dei primi anni quaranta, mentre il Dracula della Hammer, poi ripreso nei fumetti da Marv Wolfman e Gene Colan, con la sua sanguigna carnalita’ e’ il tipico personaggio del cinema degli anni cinquanta /sessanta.

domenica 4 marzo 2018

LA BELLEZZA DEL MOSTRO (parte prima)

Bellezza e mostruosita' sembrano essere concetti agli antipodi.
Ce ne serviamo per definire la realta' in cui viviamo, ognuno condizionato dal proprio bagaglio di cultura ed esperienza.
In realta' sono spesso due facce della stessa medaglia ; quante volte abbiamo usato gli ossimori "mostruosa bellezza" o "bellezza mostruosa", dove i due termini si enfatizzano a vicenda.
Sono concetti semplicistici, ma con una potente forza intrinseca che cataloga e giudica, senza possibilita' di appello.
Ma mentre l'unico rischio che corre la bellezza e' quello di diventare un'ambizione, il povero vecchio mostro ha ancora da fare parecchia strada per sconfiggere preconcetti o paure e conquistarsi definitivamente il suo posto nel mondo.

 Evolutionary war 

 Ogni razza che tenta di progredire ha bisogno del suo mostro.
L'anomalia genetica, il fattore recessivo che improvvisamente decide di prendere il sopravvento, diventa la ciambella di salvataggio a cui aggrapparsi per tentare di sopravvivere in un habitat divenuto improvvisamente ostile.
La natura, nella sua opera di selezione, non si fa governare da canoni estetici, ma dal puro pragmatismo.
Solo il diverso (il piu' forte ed adattabile) ha speranza di sopravvivere, quando il normale non ce la fa piu'.
Quello stesso diverso che, in una societa' statica che non ha bisogno delle sue difese genetiche, e' considerato una anomalia da distruggere, un imbarazzo da nascondere, una mala pianta da estirpare. La tanto agognata (da alcuni) purezza della razza e' in realta' l'anticamera dell’estinzione.
Solo da un melting pot genetico puo' nascere l'uomo del domani, un ibrido che riesca a sintetizzare il meglio di ogni razza.
In un ipotetico futuro nel quale, dopo una guerra atomica globale, il mondo si trasformasse in una trappola mortale per noi indifesi normali, il mostro potrebbe diventare l'unica speranza per la vita sulla terra.
Forse solo gli scarafaggi (Kafka ci aveva visto giusto!), piccoli mostri emarginati, faranno parte di un possibile futuro.
Chi puo' dire poi che il tumore, che ora e' solo un alieno che si fa strada nel nostro corpo con l'unico risultato di distruggerlo, non sia soltanto il primo vagito incoerente di una nuova razza, un nuovo essere che semplicemente ancora non ha capito quale sia la giusta strada da percorrere?
Nella puntata n. 14 della quarta stagione del serial americano X-Files ("Leonard Betts"), un uomo, completamente composto da metastasi (di cui si nutre), e' divenuto immortale perche' esse gli permettono di rigenerare parti perdute del suo corpo.
Forse il nostro destino e' quello di diventare puri ammassi organici superadattabili, un po' come la Cosa del film di John Carpenter.
Anche lo xenomorfo di "Alien", mentre ci perfora il cranio con la sua seconda mascella, si rivela di essere nulla di piu’ che una "bellissima" ipotesi di adattativita' cosmica, la razza perfetta per conquistare lo spazio profondo.
Il mostro e' bello, il mostro e' utile.

 E il verbo si fece carne

 La carne e' inquieta, il mostro si trasforma e si adatta seguendo precise direttive.
A volte anche solo di cassetta.
Nella cinematografia horror di Frank Henenlotter, geniale e folle protagonista dei b-movie americani degli anni ottanta, il mostro e' gia' dentro di noi, e si manifesta nelle forme piu' svariate : il gemello siamese assassino di "Basket case" (1982), il parassita killer di "Brain Damage" (1988), fino alle follie biologiche di "Bad biology" (2008), che ha segnato il ritorno sulle scene di Hehenlotter, e che narra la storia di due anime gemelle (lei dotata di ben 7 clitoridi, lui con un enorme pene senziente) e del frutto del loro "amore".
E ancora sempre sullo stesso filone : la protagonista di "Teeth" di Mitchell Lichtenstein (figlio del piu' famoso Roy) del 2007, dove un drastico adattamento anatomico, una vagina dentata, diventa utile per difendersi dalla violenza del maschio alfa; oppure il blob di carne in cui una elite di riccastri si fonde durante festini orgiastici in "Society" (1989) di Brian Yuzna, grottesca messa alla berlina di una societa' oligarchica e spersonalizzante.
Ma forse colui che e' riuscito piu' efficacemente a rappresentare sullo schermo ogni forma possibile di mutazione e' David Cronenberg, tanto che i suoi films sono stati definiti come "Body horror".
"Il demone sotto la pelle" (1975), "Rabid" (1977), "Brood" (1979), "Videodrome" (1983), "La mosca" (1986) fino al catartico "Crash", sono viaggi lisergici dove la realta' si confonde con l'incubo e l'incubo diventa improvvisamente l'unica possibile realta', e dove il corpo si espande alla ricerca di nuovi territori da esplorare.
Ma questa cinematografia di esasperata espressione corporea (quasi una performance di body art), ha origine molto piu' ad est, nell'anarchia assoluta (e fertilissima di idee e suggestioni) del cinema orientale.
I giapponesi convivono da anni con l'incubo della mutazione genetica.
Il terrore nucleare di Hiroshima e Nagasaki (e delle centrali atomiche con cui convivono nel loro fragile territorio) oltre a piagarne lo spirito, ha profondamente modificato la loro visione del mondo.
Questa paura viene da loro esorcizzata tramite il fumetto (un po' tutta l'opera di Go Nagai) od il cinema, dove Gojira, il mostro atomico, ne e' l'esempio piu' eclatante.
Nell'immaginare scenari apocalittici dove i mostri e gli umani si contendono il dominio della terra, i registi giapponesi sono aiutati dalla loro concezione del mondo, dove il fantastico convive giornalmente con il reale.

In "Tetsuo" del regista giapponese Shin'ya Tsukamoto, si assiste alla graduale ed inorridita trasformazione di un uomo in una macchina, ed alla sua lotta per la sopravvivenza (il film ebbe due seguiti).
Mentre Tsukamoto sceglie una messa in scena molto piu' autoriale (il primo del 1989 e' girato in uno sperimentale ed ipercinetico bianco e nero), lo scorretto cinema di Hong Kong, da sempre piu' incline all'effettaccio gore in ogni sua declinazione, ne sfrutta gli aspetti grotteschi in opere decisamente piu' divertite come "Machine girl" (2008) e "Robogeisha" (2009) entrambi di Noboru Iguchi, oppure "Helldriver " (2010) dove il regista Yoshihiro Nishimura si inventa un nuovo tipo di zombi (vedere per credere).
Ognuno di loro, anche se con stili diversi, mette in scena la resa dell'uomo nei confronti della macchina, la fuga dalla carne e dalle sue debolezze emotive.
E per un popolo che fa fatica a gestire gli umani sentimenti, diventa quasi un'esperienza salvifica. Dentro la macchina, finalmente, sono banditi i doveri, l'onore, la pieta', l'orgoglio.
 Il mostro a volte e' anche rassicurante.

 Nel racconto di Clive Barker "In collina, le citta'", due turisti in vacanza in una sperduta cittadina della Jugoslavia assistono attoniti durante una festa locale ad una lotta tra due immensi giganti di carne, costruiti dall'unione degli abitanti di due paesi rivali, perfettamente uniti tra loro in una parodia (intrisa di sangue) dei robottoni di Go Nagai.
A volte il mostro entra a far parte del quotidiano, e noi finiamo per abituarci.
Questo e' il momento di cui potrebbero approfittare i Morlocks, relegati per la vergogna nei tunnel sotto la terra, per sorgere e riprendersi il mondo che gli abbiamo sottratto.
Il mostro  non e' sempre innocuo.

domenica 11 febbraio 2018

LSOC : NOI, ZORA E LE ALTRE

Il periodo storico che va dagli anni sessanta agli ottanta fu particolarmente prolifico per il fumetto in Italia, in ogni sua declinazione.
I supereroi americani, importati nel nostro paese da Max Bunker con la sua casa editrice CORNO, erano andati ad arricchire il filone del fumetto americano di avventura dei vari Gordon, Uomo Mascherato, Mandrake e Prince Valiant, tutti pubblicati dai FRATELLI SPADA.
Dopo un inizio folgorante pero’, gia’ intorno agli anni settanta avevano cominciato a mostrare i primi segnali di stanchezza, soprattutto qualitativa.
Si affievolivano lentamente i ricordi dei fasti delle gloriose saghe mutanti dell’era Claremont, e quelle intergalattiche di Roy Thomas in un polpettone di storie scritte male e disegnate peggio.
Tanto che, dopo l’interruzione della gestione Bunker, la loro riproposta da parte della casa editrice Star sul finire degli anni ottanta, si trasformo’ in un vero azzardo : i lettori temevano un’altra fregatura e l’Uomo Ragno, ad esempio, rischio’ di chiudere già dopo i primi 10 numeri.
Per fortuna, e merito di una politica editoriale che decise di puntare sulla qualita’ e sulla modernizzazione delle storie, le cose andarono diversamente.
In terra di Francia continuava la lotta millenaria tra le due anime del fumetto d’oltralpe: quella classico/umoristica di Asterix e Ric Roland, e quella piu’ sperimentale di riviste come "Metal Hurlant" e "Pilot", dove si pubblicavano gli esperimenti grafici di Moebius (un paradigma vivente con il suo oscillare tra Blueberry ed il Garage Ermetico), Druillet o Caza.
Da noi erano entrambe pubblicate rispettivamente dal Corriere dei Piccoli/Ragazzi, e da Alter. La produzione nostrana era un humus multiculturale magmatico e ribollente, sempre in equilibrio fra la pulsione artistica ed il calcolo commerciale.
Politica ed arte convivevano in riviste come la succitata "Alter "(la parte nobile di Linus), mentre l’universo fumettistico dedicato ai piccoli era abitato dai personaggi disneyani e dal loro contr’altare, quelli dell’EDITORE BIANCONI (Nonna Abelarda, Geppo, Soldino) oppure delle piu’ datate EDIZIONI ALPE (Cucciolo, Tiramolla).
Per i piu’ cresciutelli c’erano le riviste antologiche del Corriere dei Ragazzi, "l’Intrepido" o "Il Monello", mentre l’avventura piu’ classica e innocua era rappresentata da Zagor o Tex della Bonelli, Capitan Miki o Blek Macigno dell’EDITORIALE DARDO, tutte vere cornucopie editoriali.
Poi c’era il mondo, carnale e sanguigno, del neonato fumetto nero italiano, con Diabolik e seguaci. Agli inizi degli anni sessanta era nato dalle menti di due dolci sorelle milanesi, Angela e Luciana Giussani il personaggio di Diabolik, eroe negativo a tutto tondo, la cui serie ha oramai superato gli 800 numeri.
Nonostante nel tempo egli abbia parzialmente perso la sua battaglia contro la censura, ammorbidendo i toni lugubri e violenti degli inizi, e’ ancor oggi un successo editoriale e di costume che vanta schiere di appassionati fedeli, e che ha dato origine, soprattutto agli inizi, ad una serie di epigoni dall’altalenante fortuna : Sadik, Spettrus, Jnfenal, Demoniak, Mister x, Zakimort, Masokis, Il Morto (di recente uscita), e le sue versioni in veste di fotoromanzo come Genius e Killing, che vennero in seguito trasformate in fumetto per meri motivi economici.
Senza ovviamente dimenticare i suoi competitors piu’ famosi e fortunati come Kriminal e Satanik della coppia Magnus e Bunker, sempre dell’Editore Corno, in cui la violenza e la velata eroticita’ si stemperava con una massiccia dose di ironia.
Quella stessa ironia che divenne il loro marchio di fabbrica soprattutto nelle successive produzioni, come ad esempio Alan Ford (1969).

Piccola divagazione.
Un discorso a parte andrebbe fatto proprio per le EDIZIONI CORNO, forse la casa editrice piu' prolifica e poliedrica del periodo.
Fondata nel 1960 da Andrea Corno ed il cognato Luciano Secchi (il futuro Max Bunker), prima di pubblicare le testate (noir e supereroistiche) che la resero famosa, sforno' una quantita' abnorme di titoli, quasi tutti in formato tascabile, dalle piu' svariate tematiche : di guerra ("Guerra d'eroi", "Tanks", "Marines"), di spionaggio ("Dennis Cobb", "Guerra di spie"), di orrore ("Racconti dell'impossibile", "Racconti del terrore"), western ("El gringo", "Maschera nera"), fantascientifica ("Gesebel"), giallo ("Milord") e perfino un tarzanide ("Zorak").
Oltre alle raccolte di fumetti di produzione inglese, c'erano molte altre testate scritte direttamente da Secchi, tra cui anche il primo supereroe tutto italiano : Atomik, che comparve nella collana "I classici del fumetto".
Una curiosita' consiste nel nome di uno dei personaggi che comparvero proprio in questa collana : Alan Ford pare proprio che prima di essere lo scalcagnato agente segreto che conosciamo (e che ancora calca le scene con tenacia e perseveranza), fosse un coraggioso avventuriero spaziale.