domenica 19 aprile 2015

LITTLE SHOP OF COMICS (parte seconda)

UNA RISATA CI LIBERERA'

Il fumetto e' stato fin dall'inizio uno spirito libero: difficile  tenerlo ingabbiato in schemi troppo rigidi per tempi troppo lunghi.
Little Nemo in Slumberland
Nel 1905 Winsor McCay da sfogo con Little Nemo a questa sfrenata voglia di creativita', facilitato dal formato in tavole domenicali che racchiudevano lo schema narrativo in una specie di grande quadro, e dall'argomento: i piccoli sogni psichedelici di un bimbo dalla dilagante immaginazione. I segnali delle potenzialita' creative del mezzo erano inequivocabili. 
Gli anni sessanta per il fumetto americano sono quelli gloriosi della Silver Age, in cui si immagina regni il classicismo piu' rigido e codificato. Invece gia' allora la voglia di innovazione cominciava a piantare qualche piccola idea seminale. Le copertine della DC per esempio,  non sono  piu' solo quadri statici introduttivi, ma vere e proprie vignette dinamiche con tanto di balloon. Poi venne il numero 163 di Flash, e la prospettiva cambio' ancora.
 In copertina Il fulmine umano si rivolgeva direttamente al lettore lanciandogli una disperata richiesta di aiuto. Quest'ultimo percio' non era piu' solo uno spettatore passivo ma  era coinvolto in prima persona nell'azione. E quella voglia di liberta' fino ad allora appena accennata, finalmente si sprigionava con autentica violenza.

In generale nel campo creativo, qualunque esso sia, sembra che all'improvviso diventi
urgente per l'autore rompere schemi troppo
vincolanti e far si che la propria opera spicchi il volo in completa autonomia.
  Anche nell'arte con la A maiuscola gli esempi si sprecano. Ne oso uno: qui accanto l'Annunciazione di Antonello da Messina, che fa coincidere l'angelo verso cui Maria si rivolge, con l'osservatore.
Flash finisce per essere l'antesignano di una moda che qualche decennio piu' tardi dilaghera' sia nella DC (La Justice League di Giffen e De Matteis), che nella Marvel (She Hulk), spesso il tutto stemperato da una profonda ironia.

She Hulk, sulla cui rinascita Byrne scommette e vince, almeno in originalita', e' un vero e proprio compendio di tutto cio' che il fumetto non aveva mai osato prima. L'avvocatessa smeraldina si intrattiene spesso a colloquiare con i suoi lettori, tanto che a volte bisogna ricordarle che e' li per picchiare, non per parlare (vizio di ogni donna, anche se di fantasia). 
Ma la grande ironia forse le fa perdere un po' di epicita' a cui il pubblico era ancora troppo abituato, e l'esperimento ha vita breve.
Anche la rigida griglia entro cui raccontare la storia, finisce pian piano per frantumarsi in un caleidoscopio di immagini. Chissa' se Byrne conosceva Tezuka, ma sta di fatto che e' stato ancora una volta il Dio dei manga uno dei primi a definire le regole del gioco. I suoi personaggi a volte rompono letteralmente la rigida griglia in cui si muovono, e vagano liberi per la pagina.
E facendo un'ulteriore passo indietro, ci si potrebbe chiedere se per contro Tezuka conosceva Little Sammy Sneeze sempre di McCay.

Little Sammy Sneeze
Ma liberta' vuol dire anche espandersi fino ad occupare intere pagine.
Kamandi
La splash page diventa percio' l'espressione piu' mainstream di questo incontrollabile bisogno di nuovi spazi, e nell'opera di Kirby (se del fumetto Tezuka e' il Dio, egli ne e' piu' laicamente il Re), trova la sua espressione piu' compiuta ed emozionante.

In terra di Francia qualche decennio piu' tardi, c'e' chi dimostra ampiamente di aver imparato la lezione.
Druillet, ad esempio, che con la serie di  Lone Sloane enfatizza il concetto di SP trasformandola in una matrioska di immagini, una fuga senza fine di infiniti riflessi del personaggio. La griglia sequenziale non esiste piu' e la storia diventa un tutt'uno con l'immagine.
Ma d'altronde qui siamo nel territorio della piu' pura sperimentazione, figlia di un periodo, gli anni settanta, in cui l'anarchia, artistica e non, regna suprema. Purtroppo i trip psichedelici dei vari Moebius e Druillet hanno lasciato pochi pochi epigoni, tra cui alcuni folli visionari giapponesi come Keiichi Koike o Suehiro Maruo.
In America Frank Miller, da grande rielaboratore quale e', amplia a dismisura il concetto, e chiude Ronin con una splash page di ben 4 pagine.

Philippe Druillet
Keiichi Koike











THE BALLOONATIC

E se si provasse a fare esattamente l'opposto? Cioe' se invece di cambiare l'approccio all'immagine, 
facendola diventare protagonista assoluta in tutte le sue stravaganti deviazioni, si spingesse 
l'accelleratore sulla parte scritta, facendola evolvere fino a farle  prendere possesso della scena?

Il balloon e' sempre stato un'appendice al personaggio, quasi uno spirito immateriale che come ectoplasma esce dalla bocca del medium-fumetto e ci fa capire i suoi pensieri e le sue intenzioni.
Gia' negli anni settanta Andrea Pazienza aveva sviluppato questo concetto, trasformando le sue vignette in un vortice di balloon che, come nuvole di pensieri, ruotano intorno al personaggio donandogli una  enorme dinamicita' senza che lui abbia bisogno di muoversi.
Nell'opera di Michael Bendis (che e' riuscito nell'impresa di proseguire ad ottimi livelli il lavoro di Miller su Devil), spesso i balloon prendono il posto del personaggio stesso, moltiplicando i tempi del dialogo compressi in una stessa immagine,  come in una rappresentazione teatrale.


Andrea Pazienza


Michael Bendis












DIO BENEDICA DAVE SIM!

L'esempio piu' eclatante ed eclettico di tutta questa voglia di liberta', e' sicuramente Cerebus. Parabola completa (caso unico nel suo genere) su vita, amori, miracoli e morte di un piccolo, cinico, umanissimo aardvark opportunamente antropomorfizzato, che in 7mila pagine nasce parodia di Conan e finisce la sua vita da piccolo borghese, attraversando molteplici ruoli tra cui primo ministro e papa, ed incontrando sulla sua strada persino Oscar Wilde. Storia complessa ed articolata, in Cerebus c'e' davvero tutto, sia dal punto di vista grafico sia da quello contenutistico. Satira politica, avventura, sentimento, viaggi spirituali ed ipergalattici. La pagina a volte si frammenta, o si dilata a dismisura come un'ameba schizofrenica, a volte invece si blocca in fiumi di parole senza immagine alcuna. Ma soprattutto moltissime invenzioni grafiche, tra cui un uso davvero poliedrico del balloon, ognuno dei quali diventa un micromondo in cui le onomatopee prendono vita propria, e vivono  autonomamente senza bisogno di sostenersi al personaggio.


MILLE SFUMATURE DI NERO

Il fumetto, come si sa,  ha avuto antenati illustri. L'utilizzo del bianco e nero per
Alberto Martini
esempio (che soprattutto il genere horror ha sfruttato nella necessita' di creare la giusta atmosfera), affonda le sue radici anche nell'opera di Gustave Dore', abilissimo incisore, donando epicita' alle sue composizioni, ed ha nelle illustrazioni dell'opera di Edgar Allan Poe di Alberto Martini (esempio folgorante ma altrettanto misconosciuto), il suo acme imprescindibile.                                           
Gene Colan e' stato un vero innovatore. In un mondo fumettistico dove si stava particolarmente attenti alla fisicita' dei personaggi, cercando di sottolinearla con linee chiare e ben definite, egli vi trasporta il suo amore per i chiaroscuri dei fumetti horror della EC comics, e trasforma i suoi protagonisti in forme fluide circondate da neri accecanti, donando al tutto enfasi e  profondita'.
Tomb of Dracula in particolare, e' un vero e proprio manuale per l'uso di questa tecnica, e un punto di riferimento per molte generazioni  di autori (Kelley Jones per esempio).
 Frank Miller dopo il suo Dark Knight, ebbe l'intelligenza ed abilita' di rimettersi in gioco, cercando nuove vie espressive, e un po' per caso (la sua colorista era indisposta), un po' per scelta, creo' quel capolavoro espressionistico in nero e bianco, che e' Sin City.
E' perlomeno affascinante trovare un fil rouge che colleghi il tutto, e in qualche modo cosi' il cerchio si chiude perfettamente.


Gene Colan


Frank Miller













ARS ATTACK

Durante gli anni 60/70 arte e fumetto cominciano a flirtare. I due cuginetti, dopo aver percorso strade diverse, trovano finalmente un punto di raccordo. Il fumetto e' alla ricerca di nuovi spazi di manovra piu' metafisici, l'arte per contro riscopre le origini popolari della sua cultura. 
Jim Steranko non  e'  un 'autore molto prolifico, ma di sicuro  uno dei piu' influenti di quel periodo. Il suo lavoro su Nick Fury e Captain America ha fatto storia, soprattutto per avervi inserito elementi di arte contemporanea (Dali' in testa), ed op art. 
Roy Lichtenstein invece e' uno dei protagonisti della pop art, che cerca di dare lustro e nobilta' ad ogni mezzo popolare, fumetto in testa.
Jim Steranko


Roy Lichtenstein













3 commenti:

  1. Proprio un bel "tomo" questo!
    Alberto Martini l'ho conosciuto solo adesso.
    Fra tutti i paragrafi quello che mi è più vicino è quello delle sfumature di nero. Il nero nei fumetti è un'arma potentissima, la campitura compatta di nero è stata per tanto tempo la mia passione. C'è un qualcosa di evocativo nelle macchie nere. Nei fumetti c'è una guerra asimmetrica tra i bianchi ed i neri. Ad un estremo i bianchi sono i volumi pieni, il nero il confine. Il tratto franco-belga della ligne claire è il massimo esempio di questo approccio. E' un tratto affascinante ed elegante, in qualche modo squilibrato. Il tratto alla Walt Disney resta linea chiara ma compensa e riequilibra col nero dei personaggi... Quando sono passato da Topolino ad Alan Ford il mio cervello ha dovuto riequilibrarsi. In Magnus ogni ombra è (era almeno fino agli anni ottanta) nero assoluto. Il tratto di Magnus è quello della fotografia dei film in bianco e nero tra le due guerre. Andando avanti si arriva a chi disegna linee bianche su fondo nero per creare paradossalmente effetti di luce abbacinate (Es: Frank Miller in Sin City).
    Steve, complimenti per il post. Ne aspettiamo tanti altri, e magari alcuni di ulteriore approfondimento dei temi interessanti trattati in questo tomo secondo.

    RispondiElimina
  2. Mi unisco ai complimenti di Fabio. Mi affascina la ricerca dei contatti culturali, degli sviluppi storici degli strumenti espressivi del fumetto, della questione delle forme e dei colori (o della loro mancanza) che fa Steve, pur avendo io fruito di una piccola frazione della produzione fumettistica ed in momenti della mia vita nei quali la mia attenzione non era educata a percepire la valenza di questi aspetti. Quello che mi piaceva mi piaceva e basta. Forse per quell'approccio poco analitico sono anch'io rimasto affascinato dagli aspetti visivamente più "forti": il nero di Magnus e Miller ma anche le inchiostrature spesse di certi autori.

    RispondiElimina
  3. lo so devo essere per forza sintetico e percio' non esaustivo. sull'uso del nero l'effetto e' cosi' potente che Walt ci ha creato perfino un personaggio : Macchia Nera! Magnus a volte usava il nero per risparmiare tempo e non dover disegnare i volti dei personaggi. i irtmi di lavoro erano davvero frenetici, soprattutto ai tempi di Kriminal. anchio nel fare queste ricerche mi sono stupito di tutte le cose che ci sono da dire. e mi piace provare a trovare un filo conduttore, anche se a volte un po' forzato. ma il bello e' che difficilemnte qualcuno mi potra' smentire))

    RispondiElimina