domenica 14 gennaio 2024

 

PARENTAL CONTROL


Scaldiamo il motore


All'inizio c'era l'uomo.

Non Adamo ma Gordon, Tarzan, Valiant, Mandrake, Braccio di Ferro; ma anche Tex, Zagor, Diabolik.

L'eroe aveva una compagna da proteggere e da salvare che raramente contribuiva attivamente all'andamento della storia. Mai era protagonista della medesima, nemmeno per poco, al limite vittima o soffice appoggio per un seppur breve momento di relax tra una scazzottata e l'altra.

Dale Arden, la cui conturbante bellezza era spesso la ragione per la quale Gordon finiva nei pasticci; Narda, la flebile e delicata presenza nelle storie del famoso mago in bombetta; l'agile Jane, che comunque faticava a tenere il passo del compagno in costumino tigrato; la fiera regina Aleta, che come coraggio non era da meno del marito Valiant, ma aveva quattro figli da crescere e poco tempo da dedicare alle avventure.

Non dimentichiamoci nemmeno di Lois Lane (insieme alla sirena Loris Lemaris e a Lana Lang compone il trio delle due elle, gioia e dolore di Superman), prima semplice comparsa e che solo ben più avanti, sarà assoluta protagonista delle storie; dell'avvenente Daisy Mae,


che riusciva a tener testa al villico Li'l Abner senza però mai avere l'onore di una striscia tutta sua; di Olivia, dal fascino perlomeno stravagante, che il rude marinaio amava anche se a volte sembrava volerla utilizzare come arma impropria.

L'unica alternativa possibile per le donne di carta degli anni del fumetto avventuroso americano, era di diventare delle Dark Lady.

Aura, figlia di Ming, che usava la violenza quando il fascino era insufficiente; la regina Loana padrona della fiamma eterna, che Cino e Franco incontravano in una loro avventura; la torbida Sala, nemica giurata di Phantom, l'Uomo Mascherato; l'algida Dragon Lady, che tentava di concupire Terry (e i suoi pirati).


Ma ci sono state anche delle eccezioni.


Betty Boop.

Creata nel 1930 da Max Fleischer per una serie animata, era una dolce bambolina dai grandi occhioni e dall'enorme viso, sproporzionato rispetto alle bellissime e sensualissime gambette.

Nonostante l'inverosimile anatomia, con i suoi costumini succinti, le calze a rete e la giarrettiera, emanava una potente aura erotica, soprattutto quando sussurrava: "I wanna be loved by you", la sensuale canzoncina che concludeva con il suo inconfondibile il grido di guerra, quel «Boop-boop-a-doop!» portato poi al successo planetario da Marilyn Monroe.



Era il prototipo della
flapper girl, disinibita ragazza anni venti dal trucco pesante e la sfrenata sessualità, che fumava e beveva come un uomo. Famose flappers furono Louise Brooks, dalle cui fattezze Crepax creò Valentina ed Helen Kane, la vera proprietaria della succitata canzone e che tenterà per anni, inutilmente, di aver legalmente ragione dello scippo.

Esse vennero fumettisticamente immortalate da raffinate disegnatrici (uno dei rarissimi esempi di donne con la matita) come Nell Brinkley, Ethel Hays, Eleanor Schorer, Edith Stevens e la più flapper di tutte, Virginia Huget.

Nel 1934 Betty fu protagonista di una serie di avventure cartacee distribuite dal King Features Syndacate fino al 1939, anno nel quale Fleischer, viste le perplessità che suscitava nei benpensanti il suo tenero personaggio, decise di sospenderne le pubblicazioni.

Jane.


Molto più realistica di Betty, ma anche più innocente, era protagonista della striscia
Jane's journal: the Diary of a Bright Youg Thing creata nel 1932 dal disegnatore inglese Norman Pett e pubblicata sul Daily Mirror. La simpatica e ingenua ragazza concludeva sempre le sue storielle mezzo svestita, complice un chiodo, un cagnolino dispettoso o una folata di vento. Il tutto senza malizia e con la disarmante e pudicissima sorpresa di una protagonista di slapstick comedy. Dopo il 1948 il personaggio passò nelle capaci mani di Michael Hubbard che lo tenne per soli 10 anni. Nel 1961 Alfred Mazure tentò un timido revival, presto abortito, con Jane, figlia di Jane.

Le sue occasionali nudità erano comunque un primo, timido passo verso l'erotismo che avrebbe dilagato negli anni sessanta e che aveva avuto un breve accenno in Pantera Bionda, creata nel 1948 da Gian Giacomo Dalmasso ed Enzo Magni. La tarzanide fu, molto probabilmente, musa ispiratrice di Carole Seuling e George Tuska per il personaggio di Shanna (1972), moglie e degna co-primaria, con una sua dignitosa vita editoriale, di Ka-zar, il Tarzan di casa Marvel.

Little Orphan Annie.

Creata da Harlod Gray nel 1924, Annie è una piccola orfanella, che insieme al fido cagnolino Sandy e al ricco protettore Oliver "Daddy" Warbucks, si deve difendere dai torbidi intrighi di malevoli lestofanti che tramano perennemente ai suoi danni. Una curiosa caratteristica, puramente grafica, era che tutti i personaggi della striscia avevano occhi privi di pupille; una invece più contenutistica era che la piccola ragazzina si comportava da fervente conservatrice, esattamente come il suo autore, difendendo lo status quo (capitalismo e polizia) contro chi lo voleva sovvertire (sindacati e anarchici).

La sua avventura editoriale venne proseguita da altri autori fino al 2010.

Brenda Starr.


L'intrepida reporter, una specie di Clark Kent senza superpoteri,
nacque nel 1940 dalla tenacia della fumettista Dale Messik che, dopo innumerevoli rifiuti, riuscì a pubblicarne le storie realistico/avventurose sul supplemento domenicale a fumetti del Chicago Tribune. Il suo personaggio ebbe una notevole longevità (fino al 2011) pur passando in altre mani, sempre femminili, cioè quelle di Ramona Fradon e June Brigman per i disegni, e di Mary Schmich per i testi. Un vero e proprio collettivo femminista.

Mary Perkins.

Prototipo dell'anonima ragazza che ambisce a diventar famosa nel mondo dello spettacolo, Mary era la protagonista di On stage, la striscia giornaliera creata da Leonard Starr nel 1957. Il lettore ne seguì volentieri le vicissitudini fino al 1979, anno nel quale terminarono, vivendo insieme a lei speranze e delusioni di amori tragici, successi, fidanzamenti e matrimoni. Tutto fino alla concretizzazione del suo sogno divenuto finalmente realtà. Sull'onda del suo successo nacquero altre eroina di carta: Robin Malone di Bob Lubbers (1967-1970) e Tiffany Jones (1964-1977) delle autrici inglesi Pat Tourret e Jenny Butterworth. Quest'ultima striscia narra dei tentativi di una giovane ragazza di diventare modella nella Londra degli anni sessanta. Il suo successo fu tale da generare una sua versione cinematografica.

In questo rutilante mondo di storie appassionanti, ironiche e tragiche, si muovevano anche le pin-up più o meno svestite, ma sempre deliziosamente provocanti, che, durante gli anni quaranta e cinquanta, comparvero nei calendari e nelle pubblicità, come ad esempio quelle famosissime di Gil Elvgren e Alberto Vargas.


Prendiamo velocità


Sotto la patina dorata del fumetto mainstream, si agitavano torbide acque.

In America dopo la crisi economica del '29 cominciano a circolare i cosiddetti Dirty Comics, parodie scollacciate, decisamente pornografiche, di famosi personaggi a fumetti come Braccio di Ferro, Blondie e Dagoberto, ma anche di politici o star cinematografiche. Otto paginette, non di più, pubblicate in clandestinità, scritte e disegnate da autori anonimi e fatte circolare sotto banco, con l'occhio sempre attento all'apparire della macchina della polizia.

Durante gli anni cinquanta la rivista Bizzarre pubblicava le avventure bondage di Gwendoline, la DID (Damsel in Distress) creata da John Willie nel 1946 che, più o meno ogni dieci vignette, finiva legata come un salame, nelle pose più opportunamente erotiche, dal perfido lord D'Arcy, poi salvata dalla scomoda posizione dall'agente segreto U-89, donna e, non casualmente, lesbica.


Stimolando i bassi istinti dei lettori Willie dette il via ad una moda poi seguita da artisti come Eric- J.W. -Stanton. Le sue donne, legate e imbavagliate, appese o infilate in gabbie e gogne, erano spesso immagini a tutta pagina. Non narravano nulla se non una situazione. Nelle sue strisce era abolita qualunque ironia, invece ben presente nelle opere di Willie. Un'eccezione: le storie (Sweeter Gwen del 1963, ad esempio) dove venne affiancato da Steve Ditko, iconico disegnatore, e co-creatore, di Spiderman, nelle quali imitava nello spirito di quelle del collega/modello, per l'appunto.

Di tutt'altro tono invece le eroine di Gene Bilbrew (Eneg per gli amici), come Enorma la lottatrice, Kitti Kane la detective,


Blondetta la pugilatrice o la rude Big Milly, tutte sempre pronte a sottomettere, in storie brevi e piene d'azione, maschi deboli e ridicoli o a combattere a suon di pugni e frustate sul sedere le improvvide sfidanti. Logico passaggio da DID a Mistress. Le sue storielle vennero pubblicate tra gli anni cinquanta e settanta da riviste come Nutrix o Peerless distribuite per corrispondenza.

Il tratto raffinato dei tre autori, dinamico e realistico era, a volte un po' simile, pur mantenendo le proprie specifiche caratteristiche.


Anche Fritz il gatto, il felino maniaco sessuale di Robert Crumb, ha la sua controparte femminile.


Verso la fine degli anni settanta fece la sua comparsa sulla scena
undergound Omaha the cat dancer di Kate Worley e Reed Waller, la gattina aspirante modella le cui avventure erotico sentimentali durarono fino agli inizi degli anni duemila, passando dal formato striscia a quello albo.


L'arrivo dei supereroi permise finalmente alle eroine femminili di conquistarsi un piccolo posto nell'olimpo fumettistico.

Nella Trinità di casa D.C. Wonder Woman, tra Batman e Superman, è in minoranza, ma sa bene come far sentire la propria voce, e nelle sue avventure, che spesso si svolgono all'interno dell'universo tutto femminile delle amazzoni, il maschio è schiavo o, bene che gli vada come a Steve Trevor, un docile amante.

Sia la Golden che la Silver Age pullulano di super eroine, purtroppo spesso solo sussidiarie all'eroe di turno, come Batgirl o Batwoman, o perse in supergruppi di prevalenza maschile.

Qualche esempio:

la Justice League oltre a Wonder Woman aveva Black Canary; la Justice Society invece Ma' Hunkel (la massaia super eroina), Hawkwoman (compagna di Hawkman), Supergirl (quella con il seno abbondante e ben in mostra di Terra Due), Liberty Bell; i Freedom Fighters dello Zio Sam, Phantom Lady e Miss America. In casa Marvel c'era spazio solo per Sue Storm nei Fab Four, per Wasp nei primi Avengers e per la Valchiria nei Difensori.


Qualche eccezione:

più in equilibrio la situazione della Legione dei Supereroi (ma loro vivevano nel futuro per cui sono più che altro una speranza), i New Teen Titans (dove ragazze e ragazzi sono quasi sempre presenti in egual numero) e degli X-Men (X-Women solo una volta in un albo di Cris Claremont e Milo Manara) dove le femmine mutanti sono una presenza costante, significativa e numerosa: da Jean Grey (unica donna nel gruppo di origine, vera e propria testa di ponte di un'invasione che negli anni si farà sempre più intensa) a X-23, passando attraverso Storm, Dazzler, Kity Pryde ed Emma Frost.

Nemmeno tra i villain le cose vanno meglio: Granny Gooddess, Silver Banshee e Killer Frost o per la D.C.; Enchantress, Giganta e Hela per la Marvel, nei gruppi sono in netta minoranza.

La Modern Age ha migliorato le cose. Alcune super eroine che hanno avuto l'onore di una propria testata come Capitan Marvel, She Hulk, Spiderwoman, Ms. Marvel e Black Widow da una parte; Catwoman. Harley Queen o Supergirl (quella più castigata di Terra Uno) dall'altra.


Vampirella rinnova il fascino delle femmine un po' schiave e un po' dominatrix, flirtando con Dracula nel suoi costumino filiforme e barcamenandosi tra il bisogno di sangue e quello del sesso. Aliena proveniente dal pianeta Drakulon (una possibile origine vampiresca, poi utilizzata anche da Mauro Boselli in Dampyr) nacque nel 1969 dalla penna di Forrest J. Ackerman e dalla matita di Trina Robbins (finalmente un'autrice!) e venne pubblicata dalla casa editrice Warren e in seguito dalla Harris. Tra gli autori che le hanno dato lustro e spessore sono da ricordare: José Gonzalés (che cominciò a
disegnarla dal numero 12 della serie e donò alla vampiressa la sua immagine più accattivante), Josè Ortiz e Esteban Maroto (molti i disegnatori spagnoli che hanno illustrato le sue avventure) per la parte grafica; Grant Morrison, Alan Moore e Mark Millar per quella dei testi.


Alcune case editrici indipendenti hanno puntato su eroine in lattice di chiara derivazione Vampirellesca:
Purgatori, Lady Death e Chastity della Chaos!, Avengelyne della Maximun Press e, soprattutto, Dawn la carnalissima dea creata da Joseph Michael Linsner nel 1989.

Anche l'Image ha puntato molto su carismatiche ma letali femmes fatale, ad esempio Fathom e Witchbalde del compianto e mai dimenticato Michael Turner. Magdalena della Top Cow.


Dal 2016 le curvy hanno la loro eroina con Faith, uno degli ultimi personaggi nati in casa Valiant.



Durante la gestione di Thor da parte di Jason Aaron, Mjöllnir (il sacro martello), dopo che il proprietario originale era divenuto indegno di brandirlo, passa nella mano di Jane Foster. La donna, ex-amante del dio norreno, ammalata di cancro e già in via di guarigione per merito delle cure sostenute, accetta il ruolo pur sapendo di mettere in gioco la propria vita, visto che su un essere divino la chemio non funziona. Rischia così di farsi sconfiggere, non dai nemici, ma dal suo stesso male. Il finale? Beh, siamo in un fumetto di supereroi...


Rimane il fatto che Thor è stata, per un lungo periodo della sua storia editoriale, donna, eroina e ambasciatrice della terra su Asgard. Tutto ciò con notevole successo di pubblico.


Si può perciò definire l'universo super eroistico americano come un vero e proprio esempio di democrazia cromosomica? Oggi sicuramente più di ieri, ma la strada della parità di genere, anche in campo fumettistico, è ancora molto lunga.

Da questa constatazione può nascere l'affermazione: «Se non riesco ad ottenere la parità, allora non mi resta che diventare la tua padrona!» che potrebbe diventare il motto delle moderne eroine.



Nel 1962 Jean-Claude Forest creò la saga spaziale di
Barbarella.

La protagonista era una intraprendente e disinibita ragazza che vaga nello spazio usando bellezza e femminilità come armi per difendersi o per sottomettere, e di conseguenza utilizzare, il maschio. Uomo o robot che fosse.

Essa divenne un vero e proprio simbolo dei movimenti femministi che stavano nascendo in quel periodo, un fulgido esempio della donna sicura di sé e della propria bellezza, pienamente autonoma e che non si poneva limiti etici o morali pur di conquistarsi il giusto posto nell'universo maschile e maschilista.

Nel 1968 Barbarella venne portata sulle schermo da Roger Vadim con Jane Fonda come protagonista.

Nonostante in Francia ci siano mediamente meno problemi di censura, per avere una pubblicazione in volume delle sue avventure, si dovette aspettare due anni dalla prima apparizione.

Il successo di Barbarella fu tale da far nascere innumerevoli epigoni.

In in quel periodo in Italia, il duo Barbieri - Cavedon si apprestava a sdoganare il sesso in ogni sua forma e contenuto. Il motto di cui sopra non sarebbe mai stato così praticato come dalle eroine dei cosiddetti giornaletti da caserma.

In un mercato che sarebbe diventato il più grande del mondo, fecero la loro apparizione demonesse, vampire, maghette, piratesse, duchesse, poliziotte, androidesse e guerriere spaziali.

L'idea di dare alle varie disinibite eroine le fattezze delle dive più in voga, e più desiderate, del momento (Ornella Muti, Senta Berger) fu un'altra trovata vincente. Si colpiva lì dove ci fa più male: nelle nostre irreprimibili pulsioni erotiche.

Sul versante dei cosiddetti neri, Kriminal e Diabolik, già alle prese con Lola ed Eva, le bizzose compagne di lavoro, dovettero affrontare la concorrenza della controparte femminile con Satanik e Zakimort, così come negli anni cinquanta lo 007 di John McLusky aveva avuto


i suoi problemi a tenere a bada la
Modesty Blaise di Jim Holdaway.

Dopo che all'inizio nei giornaletti con lo squalo (simbolo editoriale e del suo contenuto) si mise in scena un erotismo quasi impalpabile, man mano che il successo dilagava, si spinse sull'acceleratore per poi, nella parte finale della loro parabola editoriale, quando le vendite inevitabilmente iniziavano a calare, sconfinare in una spudorata, ma anche ripetitiva e noiosa, pornografia.

Da Isabella di Barbieri, Cavedon e Angiolini (1966), che vendeva settantamila copie a numero, a Casino di Rubino Ventura alias Giuseppe Pederiali e Leone Frollo (1985) che ne vendette molto meno, la strada è stata lunga, a tratti entusiasmante, e perigliosa.

Questi giornaletti, spesso scritti e disegnati in fretta e come veniva, dettero comunque la possibilità ad autori, in seguito apprezzatissimi, di farsi conoscere. Sia Magnus che Manara rimasero legati a quel mondo sanguigno e carnale, e lo arricchirono con autentici


capolavori: il primo, dopo
Necron, disegnando Le 110 pillole e Il principe nel suo giardino; il secondo, dopo gli imbarazzanti esordi con Genius e Jolanda, si costruì sul tema una lunga e prolifica carriera attraverso opere come Il profumo dell'invisibile, Il gioco, L'asino d'oro.

Altri come Ferdinando Tacconi, cambiarono decisamente registro, passando da Jacula, Zora e Wallenstein, agli Aristocratici.


Facciamo una brusca accelerata


Nel 1965 Guido Crepax, che si era fatto le ossa in campo pubblicitario, creò il personaggio della fotografa Valentina, donna libera e disinibita.


All'inizio amante di Neutron, il personaggio principale della storia, ne prese subito il posto trasformando uno scontato fumetto avventuroso in qualcosa di ben più originale: erotismo, introspezione psicologica, viaggi onirici nell'inconscio. Crepax continuerà la sua carriera anche attraverso riletture di classici letterari erotici come Venere in pelliccia, Justine, Histoire d'O, Emmanuelle. Sei anni dopo, in Francia, prima su rivista e poi in lussuosi albi patinati e incellofanati per non renderli troppo facilmente consultabili, apparve Paulette di Georges Wolinski e Georges Pichard.


Nella storia della procace ragazzotta, disegnata con uno stilema grafico che l'autore manterrà per ogni altra sua creatura, la politica e in particolar modo la lotta di classe, avrà un notevole peso. Paulette è
ricchissima, ma di sinistra. Nelle sue avventure a fianco del barbone Giuseppe, trasformato in femmina da una talpa magica, tenta perennemente di disfarsi del patrimonio. Sullo sfondo gli anni della contestazione giovanile, della guerra in Vietnam, della cultura hippy.

Il sesso rimane una delle assi portanti della storia, anche se sarà con opere come Marie-Gabrielle de Saint-Eutrope che l'autore spingerà il pedale dell'acceleratore e le pratiche sadomaso, anche se in seguito rilette come una una purificazione necessaria all'evoluzione della protagonista, sono fin troppo esplicite e compiaciute per non pensare a una furba operazione commerciale.

Ma l'arte non ha doppi fini, soprattutto quando è qualitativamente ineccepibile e storicamente significativa.

Pichard riporta in auge le pratiche bondage a suo tempo vivisezionate da Stanton, ed apre la strada ad autori come Baldazzini con Chiara Rosenberg e Saudelli con la Bionda, ladra bellissima ma goffa e sfortunata, con la quale l'autore riesce miracolosamente a far convivere erotismo e comicità.


La strada era battuta e la macchina poteva così correre veloce.


Dagli anni ottanta in poi, cominciarono a comparire opere sempre più esplicite, alcune delle quali pescano a piene mani nel mondo decadente di Sacher-Masoch e del Marchese De Sade, le cui opere erano già state frequentate da Crepax .

Eleuteri Serpieri per le vicissitudini dell'avvenente Druuna (1985)preferisce utilizzare un'ambientazione apocalittica e post-atomica, più libera e ricca di spunti erotico-avventurosi.


Nel 1988 in Francia, poi nel 1991 in Italia, Giovanni Romanini e Sergio Filippucci raccontano la vita e le opere di Ilona Staller, in arte Cicciolina.

Nel 1991, pur mantenendo un tono comico e un tratto grottesco, Carlos Trillo e Jordi Bernet narrano le vicende di Chiara (… di notte), avvenente prostituta che si barcamena tra clienti pretenziosi e colleghe gelose e nel frattempo prova a crescere un figlio, Paolino, frutto di uno stupro.

Sempre nel 1991 Georges Lévis pubblica Liz e Beth, storia dell'amicizia di due donne molto diverse fra lor problematiche (una divorziata, l'altra libertina) che passano il tempo a raccontarsi le proprie fantasie sessuali.

Jean-Yves Mitton con Messalina (2011), ci porta nella Roma Imperiale delle orge sfrenate e delle perversioni di una delle sue più conosciute e discusse protagoniste, calandoci in una realtà storica perfettamente riprodotta pur indulgendo nella descrizione delle scabrose situazioni.

Erich Von Gotha (pseudonimo dell'inglesissimo Robin Ray) pubblica nel 2002 Le disavventure di Janice, quattro tomi intrisi di atmosfera, raffinata ambientazione storica e, ovviamente, sesso e perversione a piene mani.



In Italia sono state molte le riviste, ormai sparite dal mercato, che contenevano questo materiale:

Blue (1991-2009), Glamour Magazine International (dal 1982 al 1997 circa), Glittering Images (1983-2014), X Comics (1999-2010), Selen (1994-2000).


In Giappone il sesso è presente fin dalla sua preistoria.

Le statuette in ceramica (dogū) dell'era Jōmon, con attributi sessuali femminili e maschili ben in evidenza; i cippi fallici (tamaboko) e le feste popolari (intagaki e yobai) giunte fino a noi, durante le quali si portano in processione enormi membri maschili.

La prima illustrazione a sfondo erotico che si conosca, è la "Gara fallica" dell'abate/pittore Toba Sōjō (1054-1140), del quale credo sia inutile descriverne il soggetto.

La disinvolta rappresentazione di qualunque tipo di sessualità è evidenziata dal "Rotolo dei giovani prostituti" del 1321, storia d'amore tra un vecchio abate e un giovane novizio. Il rapporto tra sesso e spiritualità è molto stretto, dato che il buddismo non si è mai posto rigide e caste regole come il cristianesimo.

Numerosi artisti del mondo fluttuante (ukyo-e) si specializzarono nei shunga (pittura della primavera), le stampe erotiche che rappresentavano i quartieri del piacere, le geishe, abili ed affascinanti cortigiane, scene di sesso tra coniugi e gli erotici giochi di corte. Kitagawa Utamaro, Keisai Eizen, Isoda Koryūsai: questi alcuni dei più famosi.

Dai loro lavori ai manga Hentai (Yaoi per l'omosessualità maschile, Yuri per quella femminile) il passo è molto breve.

Pur mantenendo le caratteristiche grafiche tipiche del genere (grandi occhioni, menti appuntiti e lineamenti tagliati con l'accetta), mille miglia lontane da quelle iperealistiche del fumetto erotico e pornografico occidentale, le donnine hentai sprizzano sessualità ed erotismo, anche, forse soprattutto, negli anime che a volte seguono, e altre precedono, i manga.


Molteplici i sottogeneri: vanilla, se hanno un sottofondo romantico; ashikoi, con pratiche feticiste che prevedono l'uso dei piedi; bakunyū, se ci sono donne dai grandi seni; futanari, con ermafroditi; nekomimi, con le ragazze-gatto; paizuri, dove si stimola il pene con i seni e così via. Tutti questi termini sono ben in evidenza sulla copertina così che i lettori posano scegliere con estrema precisione a seconda delle loro perversioni.


In alcuni casi, come in
Porompompin di Makoto Kobayashi, la carica erotica è stemperata dal grottesco e dall'ironia. Questa la trama del manga: "La via per il Paradiso sembra spianata per la dottoressa Chiya Minakami, donna virtuosa che ha trascorso i suoi 92 anni ad aiutare i bisognosi, tanto da meritare il Premio Nobel per la pace!
Ma, al termine della sua esistenza terrena, proprio alle soglie dei cancelli del Paradiso, un piccolo particolare rimette in discussione tutto: la sua verginità.
La donna, ringiovanita e denudata, viene così scaraventata nell'equivoco e assurdo limbo del Porompompin, luogo in cui dovrà rimediare a questa sua mancanza, prima di poter ascendere in Paradiso."

Sulla stessa linea due autentiche perle:

Kekko Kamen (1974): la vendicatrice nuda che indossa solo una maschera da luchadora, guanti e stivali rossi, difende le giovani studentesse dell'istituto Sparta dalle violenze perverse di un fosco preside e della sua cricca di compagni di merende. L'autore Go Nagai non è un autore di hentai professionista (tra l'altro l'inventore del mecha-manga) ma utilizza spesso nelle sue opere, come ad esempio in Violence Jack o Devil Lady, i nudi femminili con annessa violenza, sadismo e perversioni varie;


Ogenki clinic (La clinica dell'amore,1987-1994): manga di Haruka Inui che narra di un consultorio per curare le perversioni sessuali retto dal dottor Sawaru Ogekurie e dall'avvenente assistente Ruko Tatase. L'ironia con la quale sono condite le storie, pur non rinunciando ad una buona dose di sesso pornografico, è esemplificata dal glande del dottore che riproduce la sua faccia.


Una sostanziale differenza fra il fumetto erotico giapponese e quello europeo, è che molti dei primi sono scritti e disegnati da donne.

Le eccezioni di Tiffany Jones e di Brenda Starr non fanno che confermare la regola.

Anche se accettassimo di vedere le donne assumere finalmente il ruolo di complete protagoniste nei fumetti in un ambito che le vede schiave e sottomesse (ma come scrive Victor Hugo: "Una donna nuda è una donna armata"), il fatto che gli autori occidentali di fumetti erotici siano prevalentemente maschi, insospettisce e annacqua molto l'eventuale operazione.

Il mercato nipponico ristabilisce perciò un minimo di sacrosanto equilibrio.

Emi Hinahara, ad esempio, è l'autrice di My sweet devil, undici piccanti avventure di altrettante piccole demoniette; Yukiko Nozawa è la disegnatrice del manga The 1000 girlfriends who really, really, really, really, really loves you; Naomi Nekomata invece di titoli particolarmente espliciti: Namaiki Zakari e Onedari Pusssies, rispettivamente Frenesie d'amore e Micette Vogliose.

Alcune di loro, forse per un pudore che, nonostante tutto, non riescono a togliersi di dosso, preferiscono nascondersi dietro uno pseudonimo.

Lo stesso pudore, forse, che a volte fa loro nascondere il pene dietro semplici, bianche silhouette. Pudore, o censura che sia (ma non si capisce poi perché solo il pene), questo artificio permette guizzi di irresistibile ironia come in Ogenki clinic.


I giapponesi hanno una vera passione per le donne dal grande seno.

Ne è una prova Hiroya Oku che nel suo manga Gantz, inframezza i vari capitoli della storia con piccole, dolcissime pin-up dalla prorompente fisicità.


Homunculus è un altro famoso, o famigerato, mangaka hentai balzato al successo con opere come Bashful break e Renai sample.

Un filone molto in voga è quello dei guro hentai, dove la trama horror viene condita da scene di nudo e sesso. Go Nagai, con Devil Lady, ne è stato un precursore.

Urotsukidōji di Toshio Maeda (1985) è un classicone del genere poi diventato un anime.

Demoni, orge, violenza e sadismo: questi gli ingredienti per una ricetta di sicuro successo.


Il vizio nipponico di standardizzare (spesso, non sempre) lo stile grafico, e che si riscontra anche in opere di ben altro genere, rischia di rendere i prodotti hentai un po' tutti uguali, facendo perdere loro ogni traccia di velleità artistica.


Anche se forse ci siamo abituati alle molteplici nudità femminili che appaiono ogni giorno su riviste e pubblicità, rimane il fatto che l'immagine più copiata nel mondo dei comic (100 e passa clonazioni) è, per l'appunto, un nudo femminile.

La donna è distesa di fronte al lettore con i seni in evidenza, si regge a terra con una mano, il braccio leggermente piegato, mentre con le dita dell'altra si sfiora maliziosamente il mento. La testa è girata all'indietro e il viso è nascosto dalla chioma dei biondi capelli.

Con poche varianti la scena è sempre questa e proviene dall'unico fumetto erotico di un maestro della linea chiara: Paul Cuvelier, l'autore di Corentin.

L'opera, pubblicata nel 1968 (pochi anni dopo Barbarella) e scritta da Jean Van Hamme, si chiamava Epoxy.


Niente di epocale, ma la plasticità e la duttilità dell'immagine colpì l'immaginario di molti disegnatori, soprattutto quelli da poco reclutati dal duo Barbieri e Cavedon nella grande rivoluzione del fumetto nero ed erotico italiano. Cambiando pochissimi dettagli, solo per adattarla alle diverse situazioni, l'anonima donna apparve in centinaia di storie e tavole.

Sempre lei, riconoscibilissima.

Difficile non innamorarsi.

Fermarsi qui sarebbe stato più che sufficiente.

Invece, come abbiamo visto, si è andato oltre.


Spegniamo finalmente il motore


Ormai è chiaro: anche i fumetti nascondono delle insidie.

Non è meraviglioso?

Che poi la legge imponga di sigillarli, non di venderli, così che il lettore li può trovare a colpo sicuro, è un'altra storia.